Il 16 gennaio 2023 è una data già entrata nella storia. La leggeremo per molti anni nei libri, la sentiremo nei tg, nei talk show, negli speciali e negli approfondimenti televisivi, nelle analisi di questo o quel giornalista, investigatore, magistrato, esperto, criminologo…
Scrolleremo ancora per un po’ con il pollice sui cellulari alla ricerca di particolari, falle nelle investigazioni, dettagli pruriginosi, complotti e quant’altro solletichi la nostra semplice curiosità, oppure un’appassionata voglia di conoscenza ma, alla fine di tutto, resterà un fatto:
È caduto un “re”!
La cattura del latitante Matteo Messina Denaro da parte dei Carabinieri del Reparto Operativo Speciale è qualcosa di epocale per cui tutti dobbiamo essere contenti: è la riaffermazione del principio di Giustizia del quale abbiamo quotidianamente bisogno, è la vittoria della legalità sulla criminalità organizzata, dello Stato sull’anti-Stato, la rivalsa della gente comune e per bene contro chi ha fatto della violenza, della supremazia e della sopraffazione la sua ragione di vita.
Matteo Messina Denaro è un “capo” di Cosa Nostra, la mafia siciliana che negli ultimi trent’anni ha perso un po’ di smalto agli onori della cronaca nazionale e mondiale perché surclassata dalla più potente e strutturata ‘ndrangheta calabrese. Come tutti i “capi” ha gestito – per sei lustri – un territorio molto vasto con straordinaria capacità e disponibilità di uomini e mezzi, rimanendo uccel di bosco e godendo di una rete di protezione che, per forza di cose, ha avuto appoggi all’interno della Politica delle Istituzioni. Non si spiegherebbe altrimenti il perché la sua cattura sia arrivata così lontana dalle stragi di mafia del 1992 e 1993 per le quali è stato condannato e che, in definitiva, lo hanno posto al vertice dell’organizzazione. Durante una perquisizione nella casa della madre venne trovato un quadro che ritraeva il latitante con una corona da re, circostanza che potrebbe risultare bizzarra se dietro quell’icona non si celasse un’ostentazione di dominio pervasivo nonostante l’assenza fisica.
All’indomani della stagione delle stragi Tommaso Buscetta rilasciò una lunga ed amara intervista al giornalista Saverio Lodato che, successivamente, divenne un libro dal titolo “La mafia ha vinto”. Buscetta, senza troppi giri di parole, sosteneva di aver intravisto, assieme al magistrato Giovanni Falcone, la concreta possibilità che Cosa Nostra fosse definitivamente sconfitta, ma restò nauseato quando si rese conto che quella eventualità non era gradita a molti. E le stragi non fecero altro che mettere il coperchio definitivo a quella bara che già si era cominciata a costruire da molto tempo ostacolando e delegittimando Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutti coloro che si erano illusi di poter realmente cambiare le cose.
Chi è Matteo Messina Denaro?
Matteo Messina Denaro detto U Siccu per via della sua corporatura esile, è figlio di Francesco, alias Don Ciccio, il capo mandamento di Castelvetrano, in provincia di Trapani. Dopo la seconda guerra di mafia degli anni ’80 del secolo scorso, i Messina Denaro si allearono con la compagine vincente, i corleonesi di Salvatore Riina, acquisendo sempre maggiore potere e spessore criminale. Il rispetto nei confronti del padre e la freddezza con la quale gestiva i suoi affari fecero sì che Matteo entrasse nelle grazie dello stesso Totò Riina che parlava di lui come di un suo pupillo. La sua affidabilità era così elevata che questi lo coinvolse personalmente nell’esecuzione delle stragi del ’93, nonché in quello che era il progetto di un attentato a Giovanni Falcone mentre si trovava a Roma.
Il giovane Matteo, però, nonostante avesse interiorizzato i comportamenti ed i codici etici del vecchio sistema mafioso, amava le donne e la bella vita, vizi che contrastavano enormemente con le regole dei corleonesi. Ha avuto una figlia – mai ufficialmente riconosciuta – fuori dal matrimonio ed ha intrattenuto diverse relazioni sentimentali nonostante la latitanza che, del resto, cominciò proprio dopo aver scritto una lettera di addio ad una delle sue amanti.
Da cosa è dato il potere del boss arrestato
Diversi collaboratori di giustizia hanno confermato che Matteo Messina Denaro sarebbe il detentore del tesoro di Totò Riina e quindi di Cosa Nostra. Quando quest’ultimo venne arrestato il 15 gennaio del 1993 in viale Regione Siciliana a Palermo, il suo covo non venne immediatamente perquisito, dando il tempo (non è dato sapere quanto in maniera colposa o dolosa) alla famiglia ed ai sodali di sgomberare l’edificio, pitturare persino le pareti e soprattutto svuotare la cassaforte piena di documenti compromettenti per la mafia e lo Stato.
I Magistrati e le Forze dell’Ordine che negli anni hanno indagato su Messina Denaro sostengono che gli elementi di forza di questo boss anomalo, serviti a garantirne la trentennale latitanza, siano essenzialmente:
- il possesso di documenti così importanti da poter riscrivere decenni di storia d’Italia, comprese eventuali trattative tra lo Stato e Cosa Nostra o accordi finalizzati al compimento delle stragi in una sorta di strategia della tensione;
- l’essere l’ultimo mafioso stragista superstite che ha materialmente partecipato al compimento della maggior parte di quegli attentati non come semplice manovalanza, ma con un ruolo di comando.
Come ha sviluppato i suoi affari e vissuto la latitanza
Matteo Messina Denaro è il criminale che, più di tutti, negli ultimi decenni, ha capito che la sfida aperta e violenta nei confronti dello Stato, come quella messa in campo dal suo mentore Salvatore Riina, alla lunga, non avrebbe pagato. La sua Cosa Nostra è stata capace di nascondersi, di corrodere le Istituzioni dal loro interno infiltrandole e condizionando il vivere civile non solo della Sicilia, ma di tutta l’Italia. Non si dimentichi che dopo l’Attentatuni (come veniva chiamata da Riina la strage di Capaci) e la strage di Via D’Amelio a Palermo, nel 1993 vennero colpite Roma, Firenze e Milano con esplosioni che mieterono vittime innocenti e arrecarono danni al patrimonio artistico e culturale.
Oltre ad avere strettissimi legami con la massoneria (non a caso Trapani è una delle provincie con la maggiore presenza di logge coperte e non) U Siccu ha capito che il business mafioso aveva bisogno di coprire tutti gli ambiti economico finanziari più rilevanti: appalti pubblici, fondi europei, energie alternative, sanità, gioco d’azzardo.
Essendo il vertice della lista dei ricercati in Italia in questi ultimi trent’anni sono stati fatti diversi identikit su come il suo volto poteva essere cambiato e creato ipotesi investigative su dove si sarebbe potuto nascondere tenendo ben presente che un boss, per gestire e controllare il territorio, non può allontanarsi troppo dal suo feudo.
Game over
Alla fine è stato proprio così. Messina Denaro si nascondeva a pochi chilometri dal suo paese di origine, a Campobello di Mazara, ed è stato catturato in quella Palermo che la sua Cosa Nostra ha contribuito a depauperare economicamente e socialmente. Non si era fatto cambiare i connotati, aveva abiti firmati ed un orologio del valore di decine di migliaia di euro al polso. Aspetto curato ed atteggiamento cortese, riceveva cure mediche in una delle cliniche più rinomate della città.
Alla faccia di chi credeva si nascondesse come un topo di fogna.
L’intelligenza di chi, in questi lunghi anni, gli è stato alle calcagna si è concretizzata nell’aggredire il patrimonio economico dei suoi familiari e della sua cerchia di conniventi in maniera tale da isolarlo e costringerlo a mosse azzardate. La grave patologia di cui soffre non ha fatto altro che indebolire la sua resistenza fisica e psicologica rendendolo meno vigile e reattivo.
E’ già cominciato il valzer delle dichiarazioni tra chi grida all’arresto pilotato, chi sospetta che la trattativa Stato/mafia che avrebbe permesso l’arresto di Riina nel 1993 non si sia mai fermata e chi sostiene che la riforma sul cd. ergastolo ostativo, da poco approvata, che permetterà anche a boss ergastolani di usufruire di benefici senza collaborare con la giustizia, sia stata la moneta di scambio per la consegna del latitante.
Va tutto bene, è giusto che ognuno esprima pacificamente e democraticamente le proprie opinioni, ma resta un fatto incontrovertibile:
Il 16 gennaio 2023 lo Stato ha vinto
e, considerato che le persone hanno bisogno di simboli positivi dopo anni di mitizzazione dei boss, l’immagine che deve restare nella memoria collettiva è quello del mafioso circondato dai Carabinieri.
La gente per bene ha goduto di questo risultato, ha applaudito le Forze dell’Ordine a Palermo ed a Castelvetrano (dove non era affatto scontato) ed è tornata almeno per un giorno, come diceva Paolo Borsellino,“a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità…”.