Il Caso di Giulia Cecchettin: Una Vita Spezzata e l’Urgenza della Prevenzione nella Lotta alla Violenza di Genere

Il caso di Giulia Cecchettin, studentessa di 22 anni brutalmente uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta l’11 novembre 2023, ha segnato profondamente l’Italia. Non solo per la giovane età della vittima, non solo per la violenza dell’atto, ma perché ha messo a nudo, ancora una volta, quanto poco si sia fatto — e si continui a fare — per prevenire i femminicidi e la violenza di genere.

Giulia era una ragazza normale, piena di sogni, prossima alla laurea. La sua morte non è stata un evento improvviso, né un “raptus”, come ancora troppi media tentano di etichettare certi gesti. La sua è stata l’ennesima uccisione annunciata, in un contesto che dimostra quanto la cultura del possesso, la diseducazione emotiva, e la mancata prevenzione siano ancora radicate nella nostra società.

Il Femminicidio: Non è un Delitto Passionale

Il femminicidio è l’esito estremo della violenza di genere. È l’uccisione di una donna in quanto donna, spesso da parte di un partner o ex partner, in un contesto relazionale segnato da controllo, possesso e violenza. È un atto che ha radici culturali, storiche, e sistemiche.

Nel caso di Giulia, Filippo Turetta non ha accettato la fine della relazione. Il movente è quello di molti altri casi: il rifiuto, la perdita del controllo, la gelosia che diventa ossessione. Questo non è amore malato. Non è amore. È violenza. E il fatto che continui ad essere narrata come un dramma relazionale e non come un crimine radicato nel patriarcato è parte del problema.

Nel 2023, secondo i dati ISTAT e del Ministero dell’Interno, sono state uccise 120 donne, di cui oltre la metà da partner o ex partner. Giulia è diventata il simbolo di questa strage silenziosa che avviene nelle mura di casa, nelle pieghe della quotidianità, sotto gli occhi spesso distratti o impotenti di una società che ancora fatica a riconoscere e contrastare i segnali della violenza.

Vittimologia: Capire le Vittime per Proteggerle Meglio

La vittimologia è la disciplina che studia le vittime di reato, cercando di comprendere i meccanismi psicologici, sociali e relazionali che portano alla vittimizzazione. È un campo fondamentale nella lotta alla violenza di genere perché aiuta a riconoscere i segnali prima che sia troppo tardi, e a costruire percorsi di tutela concreti.

Nel caso di Giulia, si è parlato di una relazione che negli ultimi tempi era diventata “complicata”. Ma quanti segnali erano presenti? E quanti sono stati riconosciuti come pericolosi? I segnali della violenza non sono solo lividi o minacce esplicite: sono isolamento, manipolazione, controllo, colpevolizzazione. Segnali sottili, che chi è vicino può imparare a riconoscere, se formato adeguatamente.

È qui che entra in gioco il ruolo della prevenzione e della formazione. Scuole, università, medici, educatori, forze dell’ordine: tutti devono essere in grado di cogliere e interpretare questi segnali. Perché la violenza si può fermare prima che diventi irreversibile.

Il Codice Rosso: Buone Intenzioni, Ma Serve di Più

Il Codice Rosso è una legge introdotta nel 2019 per velocizzare l’intervento delle autorità in caso di violenza domestica o di genere. Prevede tempi stretti per l’intervento del pubblico ministero, obbliga le forze dell’ordine a trattare queste denunce come prioritarie, e inasprisce le pene per reati come stalking, maltrattamenti e violenza sessuale.

Ma il Codice Rosso da solo non basta. Serve una rete che funzioni, in cui la denuncia sia solo il primo passo di un percorso di protezione, ascolto e supporto. Molte donne non denunciano per paura, vergogna, sfiducia nel sistema. E anche quando lo fanno, le misure cautelari spesso arrivano troppo tardi.

Nel caso di Giulia, non risultano denunce precedenti. Ma è proprio questo il punto: non possiamo aspettare che la vittima denunci. La prevenzione deve iniziare prima della denuncia, con l’educazione, la formazione degli operatori, e una rete territoriale pronta a intervenire anche nei casi “grigi”, dove la violenza è ancora invisibile agli occhi della legge.

Prevenzione: L’unica Strada per il Cambiamento

Se vogliamo fermare i femminicidi, dobbiamo cambiare approccio. La prevenzione non è solo uno slogan: è un insieme di azioni concrete da attuare in modo strutturale e costante.

1. Educazione affettiva e sessuale nelle scuole

Ogni bambino, ragazzo e adolescente dovrebbe ricevere un’educazione fondata sul rispetto reciproco, la parità di genere, la gestione delle emozioni, e la non-violenza. Solo così possiamo spezzare il ciclo della violenza.

2. Formazione trasversale

Insegnanti, medici, psicologi, avvocati, magistrati, forze dell’ordine: tutti devono essere formati per riconoscere i segnali della violenza di genere e sapere come intervenire senza colpevolizzare la vittima.

3. Supporto psicologico gratuito e accessibile

Molte donne restano in relazioni violente perché non hanno alternative economiche, sociali o psicologiche. I centri antiviolenza vanno potenziati, finanziati e resi capillari.

4. Coinvolgere gli uomini

È fondamentale lavorare anche con gli uomini: educarli, coinvolgerli nei progetti di prevenzione, decostruire modelli tossici di mascolinità. La violenza non è un destino biologico, ma un comportamento appreso che può essere modificato.

Una Morte che Deve Insegnare

Giulia Cecchettin era una ragazza brillante, piena di vita. Non doveva morire. La sua uccisione, come quella di tante altre donne prima di lei, deve servire a scuoterci, a toglierci dalla passività e dall’indifferenza.

Non basta commuoversi. Non basta indignarsi. Serve agire.

Ogni volta che leggiamo una notizia di un femminicidio, dobbiamo chiederci: cosa possiamo fare, concretamente, per evitarne un altro?

E la risposta è: molto. Educare, formare, ascoltare, proteggere. Pretendere leggi efficaci, ma soprattutto applicate. Cambiare la cultura. Perché la violenza non è un fatto privato, è una questione politica, sociale e collettiva.

Giulia non tornerà. Ma possiamo fare in modo che la sua morte non sia stata inutile. Possiamo, dobbiamo, impegnarci affinché nessun’altra ragazza subisca la stessa sorte. E questo è un dovere che ci riguarda tutti.

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