A tutti noi, almeno una volta nella vita, è capitato di voler pigiare il tasto reset per poter cancellare per sempre dai nostri ricordi una situazione, un avvenimento o il nostro vissuto insieme ad un’altra persona, che per un motivo o per un altro ci ha provocato profonde ferite. Ferite che spesso e volentieri riemergono nella vita di tutti i giorni impedendoci, a volte, di vivere serenamente. Nella nostra complessa esperienza umana, i ricordi dolorosi si presentano come un’ombra persistente, capace di disturbare i nostri percorsi di vita. Attraverso eventi traumatici, il tessuto delicato della nostra esistenza può essere strappato, lasciandoci vulnerabili e in balia dele nostre cicatrici emotive.
Vi siete mai chiesti quanto i singoli ricordi possano essere potenti e di conseguenza, quanto possano influire sulla vita di tutti i giorni? Qualsiasi cosa può far riemergere un ricordo, che sia un profumo, un luogo, una fotografia, una canzone o persino una parola detta da un’altra persona. È importante comprendere come ogni singolo ricordo o vissuto sedimentato nella nostra mente, ci riporti nel passato ma allo stesso tempo agisca nel presente e ci spinge ad agire in un modo piuttosto che in un atro. I ricordi posso quindi essere prima di tutto una fonte di grande piacere, ma anche di immensi dolori.
Il cervello apprende e di conseguenza ricorda, attraverso un modello a tre stadi: acquisizione, consolidamento e recupero. Se solo uno di questi tre stadi viene bloccato o danneggiato, la conseguenza può essere quella della perdita del ricordo stesso. Quando un evento rimane impresso nella nostra memoria, vengono coinvolte due sottostrutture del sistema limbico, ovvero: l’amigdala e l’ippocampo. Potremmo definire l’ippocampo come il centro della memoria episodica, che assimila i fatti alla base del ricordo; l’amigdala, invece, analizza e immagazzina le emozioni legate all’evento. Entrambe lavorano in simultanea e quando facciamo esperienza di un evento emotivamente intenso, esso viene salvato nella memoria a lungo termine, che può essere considerata come una sorta di magazzino dei ricordi presente nel nostro cervello. Grazie alla memoria a lungo termine possiamo immagazzinare informazioni e ricordi per un tempo che varia da pochi minuti a molti anni.
Per molto tempo, quindi, ricercatori e studiosi della mente e del suo funzionamento, si sono chiesti se effettivamente fosse possibile “estirpare” il ricordo doloroso per poter continuare a vivere serenamente. Proprio come succede nel famoso film che vinse l’Oscar per la miglior sceneggiatura nel 2005, “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”, in cui i due protagonisti, Joel (Jim Carrey) e Clementine (Kate Winslet), decidono di recarsi in una clinica per poter cancellare dalla loro memoria tutti i ricordi legati alla loro ormai conclusa storia d’amore. Ovviamente dobbiamo tenere in considerazione; che questa è una tecnica inesistente in realtà, ma da cui molti studiosi hanno preso spunto, soprattutto per curare pazienti affetti da PTSD (Disturbo da stress post-traumatico), che vivono la loro vita convivendo con degli orribili sintomi ricorrenti causati da un trauma vissuto in precedenza, quali ad esempio rabbia, depressione, insonnia, ansia, ipervigilanza, flashback e ricordi intrusivi e persistenti dell’evento traumatico subito.
In particolare, in questo articolo ci soffermeremo su un’innovativa terapia di riconsolidamento della memoria (Reconsolidation Therapy), ideata da Alain Brunet, docente di psichiatria e ricercatore al “McGill’s Douglas Research Center” di Montreal. Brunet lavora con pazienti affetti da PTSD da oltre 15 anni ed il suo metodo cerca di conciliare psicoterapia e farmacologia. La terapia dura 6 settimane circa, con una frequenza di 4 sedute al mese della durata di 60 minuti ciascuna. Il paziente, un’ora prima di recarsi in terapia, assume una determinata dose di “propranololo”, un farmaco betabloccante utilizzato di solito per patologie quali ad esempio l’ipertensione o le emicranie. Dobbiamo inoltre ricordare che durante la fase di recupero da un trauma, la memoria va incontro ad un processo di riconsolidamento, durante il quale la memoria si stabilizza passando da una memoria a breve termine ad una memoria a lungo termine. Brunet scoprì dunque che il processo di riconsolidamento può essere riattivato nel paziente durante le sedute di psicoterapia. Negli incontri con il terapeuta, il paziente scrive su un foglio il ricordo traumatico per poi rileggerlo ad alta voce, in questo modo, con l’aiuto del propranololo che interferisce con la componente emozionale associata al ricordo, lo ri-registra, cambiandone l’emozione ad esso associata. Questo cosa vuol dire? Che il ricordo dell’evento traumatico ovviamente rimane, ma ne cambia la valenza emotiva. Quindi quando il paziente ripenserà all’evento, non lo rivivrà più con ansia e terrore. Questo metodo ha avuto una percentuale di successo pari al 70%, un risultato sorprendente se si considera il fatto che questo studio sia ancora in fase di sperimentazione. Inoltre, va ricordato che Alain Brunet ha curato con questo metodo di riconsolidamento della memoria oltre 400 pazienti affetti da PTSD, rimasti coinvolti nelle stragi terroristiche di Parigi e Nizza del 2015 e 2016. Infine, questa terapia innovativa ha anche delle controindicazioni, in quanto si deve assumere un farmaco, il propranololo, che agisce sul sistema cardiovascolare, quindi va preso sotto controllo medico.
Il nuovo obiettivo e prossimo passo di Brunet, pare sia quello di curare con questo suo metodo; quelli che lui definisce “romantic betrayals”, ovvero ferite sentimentali o tradimenti amorosi, scatenando, nella comunità scientifica, non poche critiche dal punto di vista etico. I ricordi per quanto possano fare male, da un certo punto di vista ci aiutano a crescere e ad affrontare le difficoltà che la vita decide di metterci lungo il cammino; quindi, a questo punto la domanda da porre è solo una: Quanto sarebbe giusto dimenticare magari un domani con tecniche avanzatissime e terapie all’avanguardia, se mai verranno inventate, una persona, una storia o un avvenimento? Alain Brunet è convinto di voler sfatare un tabù ed afferma in un’intervista: “non nego che ci sia qualcosa da imparare dalla sofferenza, ma di quanta sofferenza abbiamo bisogno prima che diventi inutile?” Concludo questo mio articolo porgendovi una domanda, cari lettori e care lettrici. E voi invece, di quali ricordi siete fatti?
Autore
Francesca Pettinato
Francesca Pettinato nasce a Soveria Mannelli l’8 ottobre 1999. Dopo aver intrapreso un percorso di studi superiori presso il liceo scientifico L. Costanzo di Decollatura, spinta da una grande passione coltivata nel tempo decide di iscriversi alla facoltà di Scienze e Tecniche Psicologiche presso l’Università di Messina in cui consegue la laurea triennale. Decide poi di proseguire i suoi studi alla facoltà magistrale di Psicologia Clinica e della salute nel ciclo di vita.