Sentiamo spesso parlare di dipendenza affettiva, ma il più delle volte non sappiamo veramente cosa vuol dire esserne affetti.
Bisogna tenere bene a mente, qualsiasi cosa si dica in merito alla dipendenza, che si tratta di un disturbo e non di amore.
Partiamo col definire che cos’è la dipendenza affettiva.
La dipendenza affettiva è l’espressione di una relazione malata.
È importante fare una precisazione: non si tratta di cuori femminili spezzati e nemmeno di amori infelici, ma di una vera e propria relazione disfunzionale che affligge un gran numero di uomini e donne.
A causa di insufficienti studi scientifici non è considerata come una vera e propria patologia. Il DSM5 (manuale statistico delle malattie mentali e testo di riferimento degli specialisti in materia psichiatrica e psicologica) non definisce nessun criterio diagnostico per la dipendenza affettiva, mentre alcuni comportamenti tipici di essa li classifica per il disturbo dipendente di personalità. A parere degli esperti, la dipendenza affettiva è causata “prima” e alimentata “dopo” da un partner percepito come cattivo, insensibile, manipolatore, in realtà il problema non è l’altro ma sé stesso. A tal proposito è utile fare una considerazione:
“Nessuno può farci sentire in un certo modo, se non ci percepiamo già così. Nel nostro intimo abbiamo impiantato il seme dell’insicurezza, pronto ad emergere con forza davanti a dinamiche precise.”
Le dipendenze (tutte) producono comportamenti compulsivi, ed il soggetto per quanto si renda conto che tale comportamento sia dannoso, NON riesce a fare a meno di attuarlo. Il comportamento compulsivo è una strategia messa in atto per alleviare emozioni negative, ma sfortunatamente la compulsività porta sempre la perdita dell’abilità di riuscire a scegliere se bloccare o seguitare con un certo comportamento.
DA DOVE NASCE E COME SI SVILUPPA LA DIPENDENZA?
La genesi di questo disturbo, ancora poco conosciuto ha radici molto profonde, nel cuore della famiglia di origine e liberarsene è assai difficile.
L’unità minima di interazione non è la relazione diadica madre-bambino ma la triade madre-bambino-padre. Nasciamo da due persone, che uno dei due (o entrambi) ci siano o meno sul piano affettivo o economico, resta questa la realtà. Nella nostra psiche saremo sempre in tre a dialogare: noi e i nostri genitori (avuti o mancanti).
La famiglia d’origine è dunque il luogo d’elezione, è qui che si sperimentano le prime forme di attaccamento e si apprende quando tutto va nel migliore dei modi, l’amore verso sé stessi.
Tuttavia, esistono altre circostanze che possono causare notevoli problemi.
Se durante l’infanzia, siamo stati bambini poco accuditi, umiliati, maltrattati o addirittura abusati, o al contrario figli troppo protetti, iper-accuditi, possiamo, (crescendo) mettere in atto degli atteggiamenti disfunzionali, atteggiamenti riparatori per quel “troppo o troppo poco” che abbiamo avuto. In un senso o nell’altro, è l’eccesso che crea disarmonia, dietro ogni eccesso, si nasconde sempre una carenza, il troppo di qualcosa, cela sempre una fragilità. In sintesi, le modalità con cui le primissime relazioni del bambino vengono soddisfatte da chi si prende cura di lui, influenzeranno le sue relazioni future.
DA DOVE APPRENDIAMO L’AMORE?
Apprendiamo la relazione con l’altro dalla relazione più vicina a noi: quella con le figure genitoriali, considerate le più significative durante l’infanzia e successivamente il nostro apprendimento continua con le altre persone che ci sono vicine e ci aiutano a crescere. Dunque apprendiamo l’amore e il non amore da chi ci sta vicino, da chi vediamo amare e non amare. Quando diventeremo adulti, tenderemo a ripetere ciò che ci è familiare, ciò che conosciamo.
COSA SUCCEDE NEI PENSIERI DI UN DIPENDENTE AFFETTIVO?
Il dipendente affettivo chiede e spera di essere salvato, vive in uno stato di perenne insicurezza, come se fosse sospeso su un trampolino di lancio, un trampolino di emozioni. È sovrastato dalla paura continua di essere abbandonato e il desiderio incessante di vicinanza con l’altro. Amore e paura si intrecciano in un rapporto burrascoso che con il passare del tempo diventa soffocante. La relazione è idealizzata e il partner è considerato come una sorta di divinità, la sua unica ancora di salvezza.
Il dipendente affettivo è alla ricerca di qualcuno che possa ripararlo dalle vecchie ferite.
NIENTE DI PIÙ SBAGLIATO, la relazione amorosa, non può essere un surrogato di quella genitoriale. Non si può chiedere alla persona che si ama o che si crede di amare il risarcimento di ciò che non si ha avuto durante l’infanzia dai propri genitori, perché è esattamente questo ciò che si fa: si chiede all’altro di risanare quel vuoto affettivo che è venuto a mancare da bambini.
Questa soluzione che sembra essere vantaggiosa, di fatto non lo è, poiché il benessere provato è solo temporaneo, fasullo.
La risposta emotiva e fisica ai nostri bisogni è assolutamente ILLUSORIA e conduce dritta alla dipendenza. L’errore più comune è proprio questo, aggrapparsi ad un altro con la speranza che possa farci star bene, possa risanare quelle vecchie lacerazioni.
Il dipendente è una persona estremamente fragile e chiede all’altro, di essere messo al riparo da un passato doloroso e disfunzionale e quel troppo o troppo poco ricevuto, si ripercuote inevitabilmente sulla relazione che diventa tossica, deformante, disfunzionale.
Cosa accade nella psiche quando si vive questo stato di morbosità relazionale?
Potremmo riassumere dicendo che “Il mondo interiore di un dipendente affettivo è pieno di illusioni.”
Un soggetto con dipendenza affettiva vive in uno stato mentale e emotivo colmo di fantasie e aspettative irrealistiche riguardo alle relazioni.
La dipendenza affettiva è spesso caratterizzata da un forte bisogno di approvazione e affetto da parte degli altri. Tutto ciò inevitabilmente, porta a costruire un’immagine non veritiera della relazione. Queste “illusioni” fanno credere che l’amore possa risolvere tutti i problemi, che la felicità dipenda esclusivamente dall’altro e che il partner possa in qualche modo colmare quel vuoto emotivo che tanto addolora.
Questa condizione purtroppo, crea una distorsione della realtà, dove i segnali di allerta vengono ignorati, restando intrappolati in dinamiche relazionali malsane. In sintesi, ciò che determina la disfunzionalità, NON è SOFFRIRE PER AMORE, ma l’incapacità di accettare la fine del rapporto e RITORNARE a sé stessi dopo la fine della relazione.
Autore
Caterina Sainato
Pedagogista, Insegnante, Storyteller specializzata in contesti e tecniche della narrazione, esperta in consulenza affettiva sessuale e relazionale.